La Fondazione

Risale al 2008 l’idea di ricostruire la storia della Fondazione Vincenzo Scannapieco. Il merito va al C.d.A. presieduto dalla dott.ssa Maria Teresa La Rosa ( 2013-17) e a due borsisti che, per circa un anno, si sono dedicati al riordino del carteggio ritrovato nel Liceo Classico Oliveti, dove fino alla fine degli anni ’70 aveva sede l’ “Istituto per l’infanzia V. Scannapieco” di proprietà della Fondazione da lui stesso istituita. Inoltre, fondamentale e prezioso è stato il lavoro certosino della prof.ssa Graziella Guarnaccia autrice del libro e componente di quel C.d.A. : “Istituto Scannapieco – una storia lunga un secolo” (ed.F. Pancallo, 2013). L’attuale C.d.A., insediatosi a novembre 2023, vuole condividere la storia di Vincenzo Scannapieco, un uomo con profonde contraddizioni: da un lato, benefattore, di minori orfani o in stato d’indigenza fino a donare il suo intero patrimonio e dall’altro, presunto accaparratore di beni, capace di accumulare denaro fino a vendere, secondo alcuni, un reperto archeologico di inestimabile valore come la Persefone in trono . Chi era Scannapieco? Cosa ha fatto per Locri? Quanti ragazzi e ragazze hanno potuto avere un futuro migliore grazie a lui?

La Vita

Alcuni notabili dell’allora Gerace Marina, verso la metà dell’ ‘800, avevano fatto costruire un bastimento creando un florido commercio tra la nostra terra e Napoli . Vincenzo Scannapieco, nato a Maiori (costiera amalfitana) il 19 febbraio 1843 da modesti commercianti, con due dei suoi tre fratelli e la sorella Filomena, sbarca, verso il 1865, a Gerace M. dedicandosi al commercio di generi alimentari. Nel 1868, in poco tempo, fa costruire un palazzo signorile in Piazza Stazione dove abita e dove, a piano terra, apre un negozio di merceria e ferramenta. Guadagna molto e in poco tempo, non solo accantona denaro in banca ma anche reinveste, comprando terre ed edifici, a volte, approfittando anche degli acquisti “a credito” che la povera gente faceva nel suo negozio, altre, comprando terreni infruttiferi che, con nuove tecniche rendeva fertili e produttivi. Vincenzo è intelligente, lungimirante e intraprendente: intuisce che la creazione della ferrovia (la Reggio-Bari, iniziata nel 1865, nel 1876 arrivava già a Soverato) avrebbe incrementato il commercio facendo trasferire alla “Marina” molte persone di Gerace “Superiore” e dall’entroterra. Si pensi che a Gerace M. dal 1881 al 1925 il numero di abitanti passò da 2.700 a circa 8.000 . Gli affari di Vincenzo vanno a gonfie vele, gli amori anche…ma lui rimane “single” benvoluto e ammirato dai suoi contemporanei. “Considero i due comuni come uno solo, qual era prima, ben ricordando che Gerace Superiore, come Gerace Marina, fu per la mia famiglia, un’altra patria ed in ambi i comuni abbiamo riscosso larga stima e fiducia dalla cittadinanza” (cit. dal suo testamento). Nel 1919 il suo patrimonio supera 4 milioni e 600 mila lire ( circa 2 milioni di euro di oggi), e lui, dopo la morte dei fratelli ( anche di uno monaco rimasto a Maiori) e della sorella ( tutti non sposati e senza figli) rimane unico erede. Nel Vincenzo - commerciante è, sicuramente, dirompente e motivante il voler perpetuare il suo buon nome, non attraverso un matrimonio con relativi figli/eredi ma attraverso l’istituzione di un’opera pia e di beneficenza capace di perpetuarsi nei secoli così da innalzare gli Scannapieco a benefattori della “sua patria adottiva”. Tutto sommato la sua era, ed è stata una grande idea; oggi avrebbe fondato un ente del terzo settore, una associazione no-profit per l’infanzia indigente. Riuscì, prima della morte, a veder realizzata la sede del suo Istituto. Il Palazzo Fondazione "Vincenzo Scannapieco", su progetto dell'ing. Oreste Aspra, venne costruito in stile neoclassico, alla fine di Locri nella contrada Musca o Sciabiche in un appezzamento di terreno di ulivi e alberi da frutto e completato nel 1921. Nel 1922 l’Istituto inizia a funzionare con la sezione femminile (22 orfanelle), oggi è sede, come già detto, del Liceo classico “Ivo Oliveti”.

Il testamento

Il testamento è il manifesto della sua idea di beneficenza: “non solo ospitalità ma avviamento al lavoro retribuito” (cit. Statuto). L’8 ottobre 1919, a 76 anni, detta al notaio G. Portaro le sue volontà: destinare tutto il suo patrimonio locrese alla creazione di un “Istituto benefico per l’infanzia abbandonata e resa orfana dalla guerra, dal delitto e da altre sciagure”. Il suo animo da commerciante puntualizza che, alla sua morte, i beni siano gestiti “con la massima diligenza per averne il maggior profitto”, addirittura dichiarandosi favorevole alla vendita dei soli fondi rustici e indicando l’investimento del ricavato “in titoli di rendita del Debito Pubblico” (odierni B.O.T.). Da quel momento e fino alla morte si dedicò anima e corpo in maniera fervida e assillante alla realizzazione di quella che doveva essere “la sua opera”. Il 24 ottobre 1925 muore a Gerace Marina e viene seppellito nel cimitero di Locri, dove nel 1915 aveva fatto erigere una cappella gentilizia di architettura sontuosa in stile neoclassico. Se andate al cimitero, a destra della cappella cimiteriale, in fondo, vedrete la cappella della famiglia Scannapieco, nella parete laterale sinistra c’è un’incisione: “TERRA MEA ULTIMA VESTIS MEA”.

Lo Statuto

Nel 1926 l’Istituto per l’infanzia abbandonata Vincenzo Scannapieco, con 100 posti letto, assume valenza giuridica e Il 27 ottobre 1927 con Regio Decreto viene riconosciuto, dal governo Mussolini, Ente morale e viene approvato lo Statuto che all’art. 2 ne delineava le finalità: “L’Istituto ha per iscopo di provvedere gratuitamente, secondo i propri mezzi, al ricovero, al mantenimento, alla istruzione, all’educazione religiosa e fisica ed allo avviamento ad un’arte o mestiere della fanciullezza abbandonata d’ambo i sessi. I fanciulli e le fanciulle da ammettere nell’Istituto sono in preferenza di Gerace Marina e di Gerace Superiore…”. La composizione del consiglio di amministrazione era prevista all’art. 17 del cap. II: “l’Istituto sarà retto da un Consiglio di Amministrazione che sarà nominato dal Podestà di Gerace Marina e sarà composto da 5 membri, i quali nomineranno il Presidente nel proprio seno”. Il 20 gennaio 1928, nella sede dell’Istituto, viene letto e approvato il primo verbale dell’Ente (Commissario prefettizio: cav. A. Bottari; segretario: P. Mileto): “è altamente doveroso rivolgere un pensiero di riconoscimento e gratitudine a colui che attraverso una rigida disciplina di lavoro e di sacrificio e di abnegazione volle consacrare sull’Altare dell’Umanità il più puro sentimento di carità e di amore verso l’Umanità sofferente donando e destinando tutte le sue sostanze, frutto di indefesso e quotidiano lavoro, alla Pia Istituzione a favore degli orfani della sua patria adottiva”.

Scannapieco e la Persefone

La vita del commerciante Scannapieco non è fatta solo di commercio e beneficenza ma si tinge di “giallo” per le molte ombre, le matasse ingarbugliate, i dubbi e le illazioni nate e alimentate dalla mancanza di testimoni e documenti. La ricostruzione della vicenda della “Persefone si deve, principalmente, al prof. Gaudio Incorpora, a Corrado Alvaro che ne riassume i fatti nel libro “Mastrangelina” e allo storico, ing. Giuseppe Macrì. Anche Paolo Orsi si occupò dei fratelli Scannapieco “…sono negozianti di derrate e chincaglie, ma al tempo opportuno anche di antichità”; sembra che nascondessero una grande quantità di reperti archeologici “parte custodito in campagna, parte a Gerace, in attesa della divisione”. Il nome di V. Scannapieco torna, inaspettatamente, dopo molti anni dalla sua morte, nella ricostruzione di un fatto da parte di un contadino del “benefattore”: Giovanni Giovinazzo. Nel 1905 “sembra” che in contrada Quote San Francesco, in un terreno dello Scannapieco, degli operai, intenti a impiantare un vigneto, si siano imbattuti in una statua marmorea del V sec. a.C. di quasi una tonnellata e che tale opera sia stata, nottetempo, fatta nascondere dal padrone ( lo Scannapieco) in un frantoio. A 60 anni di distanza la vicenda viene raccontata dall’ operaio/contadino Giovanni al nipote, parroco di Moschetta, che scioglie lo zio dal giuramento di silenzio imposto dall’ “astuto” Vincenzo. La statua sarebbe rimasta nascosta fino al 1911, prima di essere venduta a un compratore tedesco che la trasporta su un carro agricolo a Gioiosa Ionica per imbarcarla fino a Taranto. Nel 1915 la Persefone venne esposta al Museo Reale di Berlino, si dice, comprata dal re Guglielmo II per un milione di marchi ( circa 150 milioni di euro). La Persefone “gaia” ( così chiamata dai tarantini per il suo sorriso) venne catalogata come reperto proveniente da Taranto. Chi, sostiene l’appartenenza locrese, ricorda che Taranto era legata al culto di Afrodite (Armata) e non di Persefone, figlia di Demetra, dea di Locri Epizefiri per eccellenza. Se, davvero, Vincenzo si è imbattuto nella Persefone e l’ha venduta sottraendola a Gerace Marina si è poi ravveduto e “riabilitato” donando a tanti ragazzi e ragazze un titolo di studio e una professione che li ha sottratti all’ analfabetismo e alla dura vita dei campi.

Considerazioni

La prefazione del libro, ci impone una riflessione: “se sia il caso di lasciare morire questa storica istituzione o se, invece, sia possibile ancora tentare di salvarla. Solidarietà, impegno ed energie propositive potrebbero andare nella direzione da noi auspicata di avviare progetti di respiro provinciale e regionale…”.


L’attuale C.dA. intende percorrere la direzione indicata: una progettualità del fare, del ricreare un tessuto sociale di inclusione, condivisione e crescita per costruire un “nuovo futuro”.